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32 Sonetti del 1830

AR ZOR CARLO X.

     Bravo Carluccio! je l’hai fatta ggiusta1
Pe’ bbatte er culo2 e addiventà ccerasa.3
Tosto,4 mo! aspetta la bburiana5 a ccasa
Cór general Marmotta de Ragusta.6

     Ahà! cch’edè, Ccarluccio? nun te gusta
De portà a Ggiggio7 la chìrica rasa?8
Drento a le bbraghe té ne fai ’na spasa?9
Spada, caroggna! e nno’ speroni e ffrusta.

     Cór dà de bbarba10 all’èmme, ar zeta e all’acca,11
Hai trovo er busse,12 e sti quattro inferlìcchese13
Che tt’hanno aruvinato la bbaracca.14

     Chi ar monno troppo vò, nnun pijja nicchese;15
E ttu, ppe’ llavorà a la pulignacca,16
hai perzo er trono, e tt’è rrimasto un icchese.17

Roma, 15 agosto 1830.

  1. [L’hai fatta proprio come ci voleva. Allude ai cinque decreti illiberali e incostituzionali, di cui il primo contro la libertà della stampa, da lui pubblicati il 25 luglio 1830 per mezzo del ministero Polignac, e che fecero scoppiare la rivoluzione.]
  2. Per cadere.
  3. Diventar nulla. [Cerasa: ciliegia.]
  4. [Duro, forte.]
  5. [La bufera], i guai.
  6. Il general Marmont, duca di Ragusa. [Che comandava la guar- nigione di Parigi, e durante le tre giornate si mostrò inettissimo.]
  7. Luigi XVI.
  8. La chierica rasa: il capo mozzo.
  9. Spargimento di quel che s’intende. [Se infatti egli non avesse avuto paura, molto probabilmente la rivoluzione non avrebbe trionfato.]
  10. [Col metter freno, col dar noia.]
  11. Alla stampa, sotto la figura delle lettere dell’alfabeto.
  12. Equivoco fra busse, battiture, e busse che nelle scuole delle maestre dicono i fanciulli alla fine dell’alfabeto, cioè: “Ette, cònne, rònne e busse, sia lodato el bon Gesù.„ Le tre prime voci esprimono tre segni che nella così detta Santa-Croce (cioè l’abbecedario, perchè innanzi all’A precede una †) vengono appresso alla Z, e sono &. V. R.: il busse poi vi si aggiunge onde far cadere in rima [sic] il nome di Gesù, che termina la canzoncina. [A me invece pare evidente che nelle crocisante antiche dovesse esserci anche l’abbreviatura del bus latino, dopo quelle dell’et, cum e rum. E infatti, il mio bravo amico Ignazio Giorgi mi ha ripescato codesta abbreviatura, messa appunto dopo le altre tre, in un alfabeto, che G. B. Palatino dà come esemplare di scrittura corrente del suo tempo, sul principio del Libro nuovo da imparare a scrivere tutte sorte lettere antiche e moderne ecc. (Roma, 1543). E in un altro alfabeto che lo stesso Palatino dà per longobardo, al posto dell’abbreviatura del bus si trova quella dell’us, che può dirsene la genitrice. Col decadere dello studio del latino si capisce come poi, mentre le abbreviature del cum e del rum venivano lette per con e ron, quella del bus, soppressa affatto nella stampa, rimanesse tuttavia nell’uso, perchè compiva il verso e si prestava ad aggiungercene un altro sul serio o per ischerzo. Resta però a chiarire per quali segni intermedi, o per quale capriccio, in molte crocisante anche modernissime (per esempio, Foligno, Campitelli, 1884), per l’abbreviatura del cum si sia usato, almeno negli Stati ex-pontifici, quel V tagliato, che è il segno del versicolo dei libri liturgici; mentre negli alfabeti del Palatino si trova nelle sue varie forme il solito Ↄ, che fu anche in uso, alternato però col C, nelle crocisante toscane. (Cfr. la nuova Crusca, il Fanfani e il Giorgini-Broglio, alla voce cònne.) È bensì vero che il Palatino, nel primo de’ due alfabeti che dà come esempio di Lettere Cifrate, inventate, pare, da lui, e che ognuno, del resto, come egli dice, può inventare a sua posta, mette per codesta abbreviatura un V tagliato orizzontalmente nel mezzo; ma questo fatto verrebbe anzi a provare, se ce ne fosse bisogno, che un tal segno non doveva essere in uso negli alfabeti comuni. Nè mi pare probabile che, dal trovarsi nel libretto del Palatino a quel modo, sia poi passato nelle crocisante. Meno improbabile è invece che, e per ignoranza e per mancanza del vero segno, ci passasse dai libri liturgici, perchè il segno del responsorio, che in essi lo segue, corrisponde a quello del rum che lo segue nelle crocisante. — Negli Abruzzi, “dopo le sigle latine di et, cum e bus si aggiungeva per celia: A quillu che legge, se rompe lu mussu.„ (De Nino, Usi Abruzzesi; Firenze, 1881; vol. II, pag. 64.) A Milano, secondo una nota all’Epistolario di Gustavo Modena (Roma, 1888; pag. 206), dopo e, con, ron e bus, si aggiungeva spesso, sottovoce, dagli scolari birichini: schiscia la maestra de drêe de l’ûs. Ma l’autore della nota sbaglia affermando che, per sè stesse, le voci con, ron e bus non abbiano nessun significato. Il Modena poi adopera almeno tre volte (pag. cit. e 264, 276) la frase: sapere o dire il con, ron e bus di una cosa, nello stesso senso che aveva in Toscana la frase analoga: saperne o dirne dall’a al rònne.]
  13. Colpi.
  14. La macchina.
  15. Nix: nulla.
  16. Lavorare alla pulignacca: far le cose destramente, a capello. Questa frase è derivata in Roma dalle molle da cocchio dette alla Polignac. [Ma s’intende che qui andava a ferire il principe di Polignac, presidente di quel ministero, che seppellì sè stesso e la monarchia di Carlo X.]
  17. Un X, nulla.