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Sonetti del 1830 29

A LI SORI ANCONETANI.1

     Ma che teste de c.... bbuggiarone!
Ve strofinate a Ddio ché facci piove;
E perché san Ciriàco2 nun ze move,
Je scocciate le palle in priscissione:

     E ve lagnate poi si una ’lluvione
De du fiumi che stanno in dio sa dove
Viènghi a rubbavve sto corno de bbove3
Bell’e granne com’è, ttosto4 e ccojjone!

     Ma nun è mmejjo d’avé ppiú cquadrini
E ppiú ggrano e ppiú vvino a la campagna,
Che mmagnà nnote pe’ ccacà stuppini?

     E er sor Davìd che imbèrta5 e cce se lagna,
Quanno sarà dde llà dda li confini,
L’averà da trovà ’n’antra cuccagna!

Pesaro, maggio 1830.

  1. Nella primavera del 1830 non pioveva, con danno dell’agricoltura. Gli Anconitani, dando opera regia nel nuovo Teatro delle Muse, dissero che la Senna e il Tamigi sarebbero fra poco venuti a rapire a quelle scene il tenore Giovanni David, che vi cantava per circa 3000 scudi.
  2. Protettore d’Ancona.
  3. [Al Belli non piaceva la voce del celebre tenore, come può vedersi anche dai sonetti: La musica, 6 ott. 31, e Er zor Giovanni ecc., 29 ott. 34.]
  4. [Bravaccio, millantatore.]
  5. [Intasca. Da berta, che significa “tasca„ anche nel linguaggio furbesco italiano, secondo il saggio datone dal Biondelli ne’ suoi Studi sulle Lingue Furbesche; Milano, 1846. A proposito del qual saggio noterò qui, una volta per sempre, le voci che ha comuni col romanesco, meno però quelle che, come gatto per “ladro,„ sono troppo evidentemente comuni a tutti gli altri idiomi italiani. Calcóse, scarpe; campane, orecchie; cerchio, anello; fóngo, cappello; morto, furto, roba rubata; occhi di civetta, scudi; spago, (non spigo, come, per errore io credo, è nel Biondelli), paura; sbianchire, scoprire; zaffi, birri. C’è inoltre piva, ragazza; pivastro e pivello, putto; e pivetta, innamorata, che hanno di certo strettissima parentela col romanesco pivetto.]