Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/339


Sonetti del 1830 27


CAMPA E LLASSA CAMPÀ.1

     Ma cche Ffajòla,2 cristo, è ddiventata
Sta Roma porca, Iddio mé lo perdoni!
Forche che state a ffà, ffurmini, troni,3
4Che nun scennete a fanne una panzata?

     S’ha da vede, per dio, la buggiarata
Ch’er cristiano4 ha d’annà ssenza carzoni,
Manco si cquelli poveri c......
8Nun fùssino de carne bbattezzata!

     Stassi a sto fusto5 a ccommannà le feste,6
Vorìa bbe’7 mmaneggià li giucarelli
D’arimette er ciarvello in de le teste.

     12E cchiamerebbe bbonziggnor Maggnelli,8
Pe’ ddijje du’ parole leste leste:
“Sor È,9 ffamo campà li poverelli.„

19 febbraio 1830.

  1. [Proverbio.]
  2. [La gran macchia della Faggiola, tra il Monte Artemisio e il cono centrale dei Monti Laziali, era allora, e la memoria ne dura tuttavia, un famoso e pauroso nido di masnadieri.]
  3. Tuoni.
  4. L’uomo.
  5. Stasse a me.
  6. [Cioè, semplicemente: “a comandare.„ — Questa frase, usata anche nell’Umbria e derivante dal primo comandamento della Chiesa: Udire la santa messa tutte le domeniche e altre feste comandate, mostra che nel concetto del suddito del Papa una delle principali funzioni del Governo era quella di prescrivere i giorni festivi. Cfr. il sonetto: L’editto ecc., 21 febbr. 36.]
  7. Vorrei bene.
  8. Monsignor Mangelli, Presidente dell’Annona e Grascia.
  9. Sor È, come dicesse: “Signor tale.„