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Sonetti del 1830 25

da perizia filologica, ad essere restituito alla sua incognita forma.      12 [Bene ci] dicesti.

     13 Nel libro di cui si tratta appariscono per ultime parole le seguenti:

FR. DOM. LO MAGNO,

firma del revisore ecclesiastico. E il detto libro contiene un dialogo scritto dal signor Benedetto Blasi intorno alle stoltezze dell’opuscolo dell’Ambrosio; e quindi un confronto fatto dal signor Domenico Biagini di quello stesso opuscolo colla celebre opera del Cabanis (Rapport du moral, etc.), della quale il D’Ambrosio ha fatto un continuo plagio, viziandola però per farle dire sciocchezze.



ER GUITTO IN NER CARNOVALE.

     Che sserve che nun piovi, e cche la neve1
Nun viènghi a infarinà ppiù le campaggne?
Tanto ’ggnisempre a casa mia se piaggne,
Tanto se sta a stecchetta e nun ze bbeve.

     Er zor paìno,2, er zor abbate, er greve,3
In sti giorni che cqui sfodera4 e sfraggne:5
Antro peddìo che a ste saccocce, caggneFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte
Nun ce n’è né dda dà nné da risceve!

     Ma ssi arrivo a llevà lo stelocanna,6
Madonna! le pellicce7 hanno da èsse
Da misurasse co’ la mezza canna!8

     Allora vedi da ste gente fesse,9
Co’ ttutta la su’ bboria che li scanna,
Le scappellate pe’ vvienì in calesse!

17 febbraio 1830.

  1. Dopo vari mesi di piogge e di nevi, all’apparire del carnovale rasserenò.
  2. [Paìno corrisponde a quel che i Fio- rentini, forse per antifrasi, chiamano logica; ma si estende anche a significare “qualunque persona vestita civilmente;„ e se ne forma paìna, painetto, painetta, painerìa, impainàsse (impainarsi): voci in uso anche nelle Marche e nell’Umbria.]
  3. Greve dicesi ai popolani che sostengono gravità.
  4. Sfoggia.
  5. Spende.
  6. L’est-locanda, tabella che si pone sulle case vuote.
  7. Ubbriachezze. [Sbornie.]
  8. [Misura lineare romana, equivalente a poco più d’un metro.]
  9. Sguaiate.