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ccxcviii Introduzione dell'Autore


La medesima lettera l preceduta da un’altra consonante in una stessa sillaba, prende parimenti il suono di r. Pertanto le voci clima, plico, applauso, flauto, afflitto, emblema, blocco, Plutone, diverranno crima, prico, apprauso, frauto, affritto, embrema, brocco, Prutone.

Alcuni non della infima plebe volgono l’articolo il in el, laddove la vera plebaglia dice sempre er.

La s non suona mai dolce come nella retta pronunzia di sposo, casa, rosa. Odesi sempre sibilante, e, allorchè non sibila, assume le parti di una z aspra: lo che accade ogni qual volta succeda nel discorso ad una consonate come sarza, er zegno, penziere, inzino ecc.

La z nel mezzo delle parole costantemente raddopiasi. Così grazia, offizio, protezione, si proferiranno grazzia, offizzio, protezzione. Bensì questo s’intende allorchè la z rimanga fra due vocali.

Generalmente, al principio delle parole, alcune consonanti restano semplici e molte al contrario si raddoppiano, purchè la parola precedente non termini in un’altra consonante. Ma poichè pure questa teoria, comune in gran parte alle classi più polite del popolo, va soggetta a capricciose eccezioni, se ne mostrerà la pratica ai debiti incontri. Dopo però le finali colpite d’accento, sia manifesto, sia potenziale (come si disse più sopra, parlando de’ monosillabi) da noi si dovrebbe nella scrittura delle consolanti iniziali conservare il sistema della regolare ortografia. Un segno di più è forse qui oziosa ridondanza, dacchè fu avvertito come la potenza accentuale raddoppi per sé stessa nella pronunzia le articolazioni seguenti: e il miglior proposito parrebbe quello di notar solamente ciò che si diparte dal resto. Purtuttavia, per non indurre in equivoco i meno pratici, ai quali potesse per avventura giungere questo scritto, seguiremo coi segni la guida del suono da essi rappresentato.