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Introduzione dell'Autore ccxci

lari discorsi svolti nella mia poesia. Il numero poetico e la rima debbono uscire come accidente dall’accozzamento, in apparenza casuale, di libere frasi e correnti parole non iscomposte giammai, non corrette, nè modellate, nè acconciate con modo differente da quello che ci manda il testimonio delle orecchie: attalchè i versi gettati con simigliante artificio non paiano quasi suscitare impressioni ma risvegliare reminiscenze. E dove con tal corredo di colori nativi io giunga a dipingere la morale, la civile e la religiosa vita del nostro popolo di Roma, avrò, credo, offerto un quadro di genere non al tutto spregevole da chi non guardi le cose attraverso la lente del pregiudizio.

Non casta, non pia talvolta, sebbene devota e superstiziosa, apparirà la materia e la forma: ma il popolo è questo; e questo io ricopio, non per proporre un modello, ma sì per dare una immagine fedele di cosa già esistente e, più abbandonata senza miglioramento.

Nulladimeno io non m’illudo circa alle disposizioni d’animo colle quali sarebbe accolto questo mio lavoro, quando dal suo nascondiglio uscisse mai al cospetto degli uomini. Bene io preveggo quante timorate e pudiche anime, quanti zelosi e pazienti sudditi griderebber la croce contro lo spirito insubordinato e licenzioso che qua e là ne traspare, quasichè nascondendomi perfidamente dietro la maschera del popolano abbia io voluto prestare a lui le mie massime e i principii miei, onde esaltare il mio proprio veleno sotto l’egida della calunnia. Nè a difendermi da tanta accusa già mi varrebbe il testo d’Ausonio, messo quasi a professione di fede in fronte al mio libro.1 Da ogni parte io mi udrei rinfacciare di ipocrisia e rispondermi con Salvator Rosa:

  1. [Dalla cit. lettera al Ferretti si rileva che il testo d’Ausonio ch’egli voleva mettere in fronte al suo libro, era il noto: Lasciva est nobis pagina, vita proba, da lui tradotto stupendamente: Scasta-