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INTRODUZIONE1


Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tuttociò insomma che la riguarda, ritiene un’impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo. Nè Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza. Oltre a ciò, mi sembra la mia idea non iscompagnarsi da novità. Questo disegno così colorito, checchè ne sia del soggetto, non trova lavoro da confronto che lo abbiano preceduto.

I nostri popolani non hanno arte alcuna, non di oratoria, non di poetica: come niuna plebe n’ebbe mai. Tutto esce spontaneo dalla natura loro, viva sempre ed energica perchè lasciata libera nello sviluppo di qualità non

  1. [Nella brutta copia porta la data del 1⁰ dicembre 1831. E infatti, il 4 gennaio successivo, l'autore la mandava a leggere all'amico Ferretti, accompagnandola con una lettera che può vedersi a pag. 13-11 del mio opuscolo: Cinque Lettere e due Note di Viaggio di G. G. Belli; Perugia, 1896.]