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Prefazione | cclxxxv |
le ire del Governo papale. Ecco, infatti, quali sono: nel volume secondo, pag. 51, 63, 77, 88, 132, 174, 100, 231, 232, 233 e 315; — nel terzo, pag. 158, 192, 222 e 279; — nel quarto, pag. 276, 39f) e 400; — nel quinto, pag. 137 e 180; — nel sesto, pag. 130,179 e 248. E altrettanto è da dire degli altri quarantanove; sicché io mi risparmio anche d’indicarli, e piuttosto ringrazio il mio giovane amico Luigi Ambrosi, che m’ha aiutato a esaminare con tutta diligenza gli autografi sotto questo rispetto.
Circa milletrecento de’ sonetti compresi nella presente edizione erano affatto inediti; e anche gli altri, pubblicati prima, potevano considerarsi come inediti; giacché nell’edizione Salviucci, che ne contiene settecentonovantasette (computatoci anche quello inserito tra le poesie italiane del vol. IV, pag. 79), la lezione originale fu spessissimo alterata e guasta, per contentare la Censura pontificia; nell’edizione Barbèra, che ne contiene dugento (di cui una quindicina apocrifi, e un centocinquanta già compresi nella Salviucci), quantunque io mi sforzassi di restituirli alla vera lezione, ciò non sempre mi venne fatto, perchè allora mi mancavano gli autografi; e finalmente, nella recente edizione Perino fu riprodotta, contro l’espresso divieto del nipote del poeta, l’edizione Salviucci, aggiungendo ai guasti già fattivi l’arbitraria soppressione di quasi tutte le note e molti e gravissimi errori di stampa. Dimanieraché, il vero e intero Belli non si trova che nella presente edizione.
Alle note dell’autore ne ho aggiunte io, tra parentesi quadra, molte e molte migliaia, così storiche come filologiche, dove mancavano affatto, o dove le sue mi parevano insufficienti o sbagliate. Per le filologiche ho seguito il criterio di non ispiegare del romanesco, se non que’ vocaboli e modi che sono del tutto o molto diversi dall’attuale Uso fiorentino; da quello, cioè, che conosco io, o che hanno potuto attestarmi i due vocabolari Giorgini-Broglio e Rigutini-Fanfani, e alcuni amici di Firenze, a cui ho rotto spesso le tasche. Ma poiché l’Italia, che spende vanamente parecchi milioni per un vocabolario inutile come quello della Crusca, non ne ha ancora uno che possa dirsi compiuto dell’Uso fiorentino; è certo che qualche volta io avrò spiegato voci e maniere comuni anche a codesto Uso; ma la colpa non é mia. Il criterio da me adottato è buono; anzi, il solo ragionevole: e lo stesso Belli pare che inclinasse a seguirlo (Cfr. vol. IV, pag. 364, nota 5; e vol. VI, pag. 291, nota 4); ma a lui, co’ vocabolari che c’erano allora, ne mancò, più assai che a me, la possibilità materiale.