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cclxxvi Prefazione


Benissimo poi riesce ne’ soggetti patetici, di cui il Belli ci ha lasciato splendidi ma pochi saggi. — Siamo in una povera cameruccia. Una giovane sposa è in letto agii estremi. La madre viene a visitarla, con l’angoscia nel cuore, ma

Dissimulando l’appressar del fato1

alla moribonda. E ne nasce questo commovente dialogo:

PROPIO ALL’URTIMI!

     Bon giorno, Nina.2 — Oh, mamma, mancomale! —
Come te senti, fija, stammatina?
Dimme... — Sempre accusì. — Povera Nina!
Sempre lo stesso? — Sempre talecquale... —
     Poi guarirai. — Macché, mamma, sto3 male
Nun passa più. Senti, viemme vicina:
Pijem’un po’... — Che vòi? — La coroncina... —
Dove sta? — Ved’un po’, drent’ar zinale...
     L’hai trova? — Ècchela4 qui. — Dammela; senti:
Quanno... Mamma, viè qua... quanno so’ morta... —
Ma che discursi! — Eh, artri pochi momenti...
     Tu tiella, mamma, e t’aricorderai
De Nina tua... — Sta’ zitta... — Eh, me so’ accorta
Ch’ho da morì... — Ma no. — Be’... lo vedrai!

Anche il titolo di questa impareggiabile miniatura mi pare felicissimo, come, del resto, sono quasi tutti gli altri; poichè il Ferretti, seguendo anche in ciò il suo maestro, vuole che il titolo abbia pur esso una forma artistica e armonizzi con tutto il componimento.

Ma se egli ha saputo appropriarsi l’arte del maestro perfino ne’ più minuti particolari, si tiene però ben lontano dal copiarlo servilmente. Egli, insomma, non è un imitatore, nel senso che comunemente si dà a questa parola; bensì un libero continuatore dell’arte del Belli,

  1. Leopardi, Consalvo.
  2. Caterina.
  3. Questo.
  4. Eccola.