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Prefazione | 253 |
Però fra quanti di sua morte al danno |
Malinconici versi, ben differenti da altri che in più lieti tempi il poeta aveva composto per la famiglia Ferretti! Quando nacque il nostro LGiggio, la gioconda musa romanesca del Belli accompagnò i suoi primi vagiti. Al rifresco fatto per il battesimo, si vede che intervenne, non invitata, una di quelle matrone ficcanaso e spropositate che abbondano in Roma; e il poeta che era lì a partecipare alle gioie dell’amico, la colse a volo, secondo il suo solito, e ne incorniciò il tipo in uno de’ suoi sonetti (vol. IV, pag. 410). E siccome la puerpera, avendo dovuto mandare il bambino a balia a Frascati, stava, come tutte le mamme, in gran pena; ecco il Belli a rassicurarla e farla ridere con un altro sonetto (IV, 398).1
Nato sotto questi auspici e cresciuto poi nella dimestichezza de’ due poeti, parrebbe che il nostro Ferretti si fosse dovuto mettere a far versi fin dall’infanzia. Eppure non fu cosi. Egli arrivò alla quarantina, quasi affatto immacolato di peccati poetici. Io però avevo notato in lui un gusto veramente squisito, per il modo inarrivabile con cui più volte l’udii recitare i sonetti del Belli, che richiedono mille modulazioni di voce e atteggiamenti di fisonomia e mimica variabilissima, e tutto dal vero. Que-
- ↑ Nel quale (me ne accorgo ora) egli sbagliò la data: 2 febbraio 1836; poichè Luigi Ferretti nacque il 21 di detto mese. L’edizione Salviucci la cambiò in 24 febbraio; ma l’autografo dice proprio 2 febbraio, e forse doveva dire 2 marzo.