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ccl Prefazione

Cominciò a scuoter l’edifizio, e poi ebbe paura de’ calcinacci.

Ma nel curioso fatto che al poeta romanesco mancò anche l’altro coraggio di bruciare da sé, allora o dopo (e la cosa era materialmente tanto facile!), que’ sonetti che si opponevano agl’intimi e veraci sentimenti dell’animo suo, abbiamo non solo una prova che a questa frase va dato un valore assai relativo; ma che in lui c’era e ci rimase sempre molto (sia pure in parte per amor proprio letterario) dell’uomo di prima: precisamente come ne rimase un po’ sempre (sia pure per vanità politica) nello stesso Pio IX.

Dal bruciare i sonetti lo sconsigliò anche il suo amicissimo (Ofr. voi. V, pag. 160 e 173-74) monsignor Tizzani, nelle cui mani erano di certo stati, in numero di duemila, dal novembre del 1839 al 21 dicembre del 1842, giorno che il Belli li ritirò e ne prese nota. E pare che anche prima di morire affidasse la preziosa cassetta al Tizzani; il quale, morto lui, la restituì al figliuolo; e quindi s’incaricò, con altri, di ridurre ad usum Delphini la maggior parte de’ circa ottocento sonetti dell’edizione romana, perchè la censura li lasciasse passare. Morto poi nel 1866 anche il figliuolo del Belli, la cassetta rimase nascosta in casa di Luigi Ferretti, zio e tutore de’ nipoti del poeta.1

E del Ferretti, così bravo, così buono e così presto


  1. Se nella vecchia Prefazione io dissimulai l’esistenza degli autografi, fu perchè in realtà non me ne potei giovare, e perchè me ne aveva pregato lo stesso Ferretti, onde non cadessero nelle mani della polizia pontificia; tanto più che ci sorvegliava . . . anche la polizia italiana! Ed ecco come. Nell’agosto del 69, esaurita già la prima edizione d’una quarantina di sonetti da me fatta in quello stesso anno, stavo preparando in Spoleto l’altra de’ dugento per il Barbèra; e il povero Ferretti, per comunicarmi qualche variante ohe sapeva a memoria, e qualche nuova notizia sulla vita del Belli, m’invitò ad andarlo a trovare a Gubbio, dove villeggiava con la famiglia; raccomandandomi però di non dire a nessuno il motivo della