Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Prefazione | ccxlix |
Fin che abbiate però carta ed inchiostro |
E a questo sonetto uniformò poi, con costante coerenza, tutti i successivi e numerosi suoi scritti, e tutti gli atti della sua vita, che si spense improvvisamente in Roma il 21 dicembre 1863, quando già l’Italia, un po’ anche per merito della ripudiata opera sua, era risorta a nuova libertà, a nuova vita, a nuove e non fallaci speranze d’intera unità e indipendenza, e il Governo de’ Papi accennava oramai a certa e compiuta rovina.
Possiamo quindi affermare con piena sicurezza che il Belli rimase fedele a Pio IX, lo seguì spiritualmente a Gaeta, e non aspettò il suo ritorno per ripudiare, come già le aveva ripudiate lui, le idee liberali, visto che con esse non era stato possibile un governo ordinato e tranquillo.
Contro la sentenza di Tacito: Malo periculosam libertatem, quam quietam servitutem, il Belli preferì la servitù. Non ebbe il coraggio del Mamiani, del Farini, del marco Minghetti e di tanti altri del suo partito, i quali, abbandonati da Pio IX che si gettava anima e corpo nelle braccia della reazione, guardati con sospetto dai repubblicani, stettero fermi al loro posto, fidenti ne’ destini d’Italia; e passando sopra a que’ brutti, ma non molti e del resto inevitabili fatti accaduti durante la Repubblica, acclamarono all’eroica difesa contro i Francesi, che salvava almeno l’onore del nome e delle armi italiane. Del Belli può ripetersi, e con più ragione, quel che il Guerrazzi,1 poco diversamente, disse del Giusti:
- ↑ Beatrice Cenci, cap. XX, nota prima.