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Prefazione ccxlvii

sua personale, d’un sonetto del 5 novembre 1846 (vol. V, pag. 363), dove chiama stolta l’ingiuria che si diceva "fatta al Pontefice, spedendogli per la posta una elegante cartella, entro la quale era dipinto il suo stemma con sostituite ai leoni due tartarughe.„

In un sonetto che porta la data del 1847 (V, 449), senza indicazione di mese e di giorno, e che probabilissimamente è, de’ romaneschi, il penultimo ch’egli scrivesse e l’ultimo d’argomento politico, manifestava, come già in un altro dell’anno precedente (V, 364), l’opinione, comune a molti, che Pio IX in quella tempesta finirebbe per naufragare. E le probabilità, ogni giorno maggiori, che questa previsione si avverasse, tolgono al Belli la voglia di ridere; tanto che nel resto del 47 e in tutto il 48 non scrive più sonetti, e l’ultimo, del 21 febbraio 49, è d’argomento familiare, diretto a Cristina Ferretti, che un mese dopo doveva diventare sua nuora, e salvargli col matrimonio il figliuolo dall’esser compreso nella civica mobile repubblicana. Questo silenzio della sua musa romanesca attesta il profondo turbamento che gli agitava l’animo. "Gli eccessi del novembre 1848,, (racconta il suo intimissimo Francesco Spada), “commovendolo fino a piangerne, come pianse in realtà per l’uccisione del Rossi, quantunque noi conoscesse più che di veduta e di fama, ... lo ricolmarono di tale sgomento e di tale orrore, che a nessuno poteva riuscire di liberarnelo.„ E un mio amico, l’editore Alessandro Natali, l’udì chiamare gesuiti rossi i repubblicani: la qual frase compendia a maraviglia tutte le sue opinioni politiche d’allora.

Figuriamoci, dunque, che impressione dovettero poi fargli le prepotenze, le devastazioni, le ruberie e gli assassini, commessi in nome della libertà nella prima quindicina di maggio del 49, e fulminati con severe parole negli stessi proclami del Triumvirato, dell’Avezzana e del Pisacane! A detta di tutti, que’ quindici giorni fu-