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Prefazione ccxxxvii

con la Madonna. Anziché studiarsi di recare nella parola i prodotti della riflessione, egli si studia piuttosto di far nascere la riflessione dall’uso della parola.1 Volendo dunque rappresentare un tal popolo, la forma dialogica è quasi una necessità; perchè questo popolo basta lasciarlo parlare, e si rappresenta da sé. A Roma (come, del resto, in tanti altri luoghi), anche la predica religiosa assume spesso codesta forma. Io da bambino ho visto delle vere commedie o farse, rappresentate sopra una specie di palcoscenico costruito in mezzo alla chiesa di San Rocco a Ripetta. Un gesuita, grasso e rubicondo come un caratterista, recitava la parte del mi-

  1. Cfr. il lungo articolo dello Schuchardt, G. G. Belli und die römische Satire (Beilage zur Allgemeinen Zeitung; anno 1871, dal num. 164 al 167), ripubblicato poi nel volume: Romanisches und Keltisches; Berlino, 1886; pag. 150-179.
          L’illustre tedesco esamina da par suo il volume de’ Duecento Sonetti da me curato per il Barbèra, e in un punto solo di qualche importanza dissente da quanto io dissi intorno al Belli e alla Satira in Roma. Egli ammette che il Belli, quando scriveva i sonetti romaneschi, avesse idee liberali; non crede però che fosse un nemico ardente [glühender Feind] del Papato e del Cattolicismo: suppone piuttosto che avesse un po’ di quella indolenza politica, comune a quasi tutti i Romani, e che somigliasse a’ suoi popolani, com’io li ho descritti, cioè che portano nella stessa tasca coltello e corona, bestemmiano la Madonna e si scappellano alla sua immagine, mettono in ridicolo il Papa e al tempo stesso gli s’inginocchiano davanti. Lo scopo del Belli fu di ritrarre il popolo romano con fedeltà scrupolosa. Dunque, dice lo Schuchardt, i sonetti politici e tutti gli altri non provennero immediatamente dal poeta, bensì dal popolo stesso: se non ci fosse stato chi pensava e parlava a quel modo, il Belli non avrebbe mai scritto quel che scrisse. "Quando il frutto proibito della satira politica gli pendeva ben dappreso sul capo, egli lo coglieva; ma senza arrampicarsi sull’albero.„ È chiaro ohe lo Schuchardt, ragionando così, non tiene nel debito conto l’elemento soggettivo che è in tutti i sonetti del Belli, e che in alcuni de’ politici e religiosi, come ho accennato qui sopra, passa perfino il segno, e rompo un poco quell’armonia tra pensiero e forma, ohe al Belli stava tanto a cuore. Del resto, che egli fosse mai un nemico ardente del Papato e del Cattolicismo, nel senso eccessivo che ha sempre codesto epiteto, io non lo diasi. Dissi anzi che mentre scriveva isonetti, andava puro a confessarsi: "condizionoe equivoca„ (sono le