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ccxxxiv Prefazione

“La sapienza che hanno gl’ignoranti a dire spropositi,, (scrive il nostro autore in un altro appunto, e alludendo, già s’intende, a’ suoi Romaneschi)„ “è incredibile. Se ne ascoltano talora di sì nuovi e preziosi, che tutta la mente di Vico e di Romagnosi non saprebbe giungere a combinare.„ La plebe romana, infatti, essendo forse più superba d’ogn’altra, né volendo rassegnarsi a non capire quel che non sa,1 ha forse più d’ogn’altra il vizio di sforzar le parole che non intende, per farne tutt’una con altre notissime, somiglianti di suono, ma raramente di significato, e creare così etimologie cervellotiche, le quali poi spesso diventano legge nell’uso, e sempre generano ambiguità e controsensi ridicolissimi. Son pochi giorni, per esempio, che una povera donna domandava a me, con tutta serietà, dove stesse il Castro petrolio. E questo vizio, quand’è così effetto d’ignoranza e di superbia, può considerarsi come una resistenza del dialetto contro la lingua, che ogni giorno più va supplantandolo; ma in molti casi è anche effetto di malizia e di spirito satirico. E dall’una e dall’altra categoria di spropositi il Belli cavò straordinario partito. Ma, salvo quelli d’uso normale e molto comune (come riverèa per livrea, ravvicinata a riverire, perchè la portano i servitori; o zampana per zanzara, ravvicinata a zampa, perchè le ha molto lunghe2), an-


  1. "L’altiero Romanesco, a chi lo interroga di cosa ignorata da lui, non risponde: Non lo so, ma Chi lo sa? Scendendo una volta per la china di Monte Mario, sul cadere del giorno, m’imbattei con Pio IX, che, circondato dalla sua Corte, a lento passo la montava; ed avendomi egli invitato ad accompagnarlo, la montavamo di conserva. Poco dopo gli si appressarono alquanti fanciulli della campagna circostante; ed egli, accoltili benignamente e data loro baciare la mano, cominciò interrogarli della Dottrina Cristiana, chiedendo al più grandicello: Quanti sono i Sacramenti della Chiesa? E quegli franco: E chi lo sa? Ma il papa a lui: Almeno lo sappiamo noi.„ Curci, Op. cit., pag. 199.
  2. Veda, chi vuol fare una risata, il sonetto: Le zzampane, 2 aprile 1846.