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ccxxxii Prefazione

dire: quindi quella fusione maravigliosamente perfetta, che si ammira in lui, tra la materia e la forma.

Chi ha dimorato in Roma, e legge il noto sonetto: La poverella (composto in vettura, dall’Osteria del Fosso alla Storta, il 13 novembre 1832, gli pare d’aver sentito mille volte chiedersi l’elemosina proprio con quelle stesse parole. Eppure, nessuna accattona ha mai parlato in versi, e molto meno in versi legati in quell’ardua forma! Ma il poeta ha potuto produrre questa illusione, appunto perchè da ciò che anche lui aveva realmente udito, ha indovinato felicemente ciò che in altri casi simili avrebbe potuto udire: dal fatto reale è asceso al probabile, dando sempre rigorosa unità alle sue scene, e scolpendo i caratteri con tanta sicurezza, che spesso fin dalle prime parole si rivelano interi.

Tra gli appunti ch’egli andava prendendo per i sonetti, trovo questi, che, se la memoria non m’inganna, rimasero tutti, come tanti altri, in embrione:

(Disgrazie.) So’ vvisite de Dio. Va bbene. Chi rreprica? Ma si fussi un omo, je direbbe: Sta’ a ccasa tua.

De du’ scianche,
            Una sola era fatta p’er zervizzio.

L’antra je stava accanto, come de guardia, pe’ ffajje fa l’obbrigo suo.

Fischi alle carrozze, prima del convoglio funebre di Piombino:

            Fascéveno la prova generale.

Pe’ aggiusta tutti li guai, tanto ce sarebbe er rimedio: bisognerebbe divide er monno in du’ parte,

            L’Oriente a nnoi e ll'Accidente a llòro.

So’ più galantomo
            De chi ccammina co’ le vostre scianche,

(o altra metafora consimile).