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ccxxx | Prefazione |
Terni, che poco dopo trascrisse quasi per intero nell’Introduzione a’ Sonetti.
“Vengo carico,, (diceva allo Spada, annunziandogli il suo prossimo ritorno in Roma), "di nuovi versi da plebe. Ne ho sino ad oggi in centocinquantatre sonetti, sessantasei de’ quali scritti da dopo la metà di settembre.1 A guardarli tutti insieme, e unendovi col pensiero quel di più che potrà uscire dai materiali già raccolti, mi pare di vedere che questa serie di poesie vada a prendere un aspetto di qualche cosa, da poter forse davvero restare per un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i costumi, le usanze, le pratiche, la credenza, le superstizioni, i pregiudizi, le notizie, e tutto ciò insomma che la riguarda, ritiene, al mio giudizio, una impronta che la distingue d’assai da qualunque altro carattere di popolo. Nè Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di gran cosa, di una città cioè di sempre solenne ricordanza. Di più, mi sembra non iscompagnarsi da novità la mia idea. Un disegno così colorito non troverà lavoro da confronto che lo precedesse... Esporre le frasi del romano quali dalla bocca del romano escono tuttodì, senza ornamento, senza alterazione, senza pure inversioni di sintassi o troncamenti di licenza, se non quelli che il parlatore romanesco usa egli stesso: insomma, cavare una regola dal caso e una grammatica dall’uso; ecco il mio scopo. Il numero poetico deve uscire come per accidente dal casuale accozzamento di correnti e libere parole e frasi, non iscomposte giammai, nè corrette, nè modellate, nè accomodate, con modo diverso da quello che ci può mandare il testimonio delle orecchie. Che se con simigliante corredo di colori nativi giungerò a dipingere tutta la morale e
- ↑ In margine: “Crescono.„