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Prefazione ccxvii


bella per molti passi veramente spiritosi, e più ancora per nn sentimento sincero e profondo delle sciagure italiane:

     O dei volatili
Pinto drappello,
Odi la storia
D’un tuo fratello.
     Nella romulea
Città beata.
Dal suo Pontefice
Infranciosata,
     Era bellissimo
Un pappagallo,
Bianco-porpureo
E verde-giallo.
     Presso d’un chimico
Laboratorio,
Cantava i scandali
Del fu Gregorio.
     Era satirico
Motteggiatore,

E de’ retrogradi
Persecutore.
     Vedea canonici.
Frati e piovani?...
Gridava subito:
     “Razza di cani!„
Un dì battendosi
Vita per vita.
Beccò la chierica
D’un gesuita.
     Siccome indigeno
Americano,
Era fierissimo
Eepubblicano;
     Quindi in sua stridula
Voce nativa.
Alla Repubblica
Cantava evviva.

Ma ecco, un bacchettone va e riferisce al Triumvirato Cardinalizio che il pappagallo ha dato dell’apostata a papa Mastai. Le eminenze, sorprese del novissimo caso e dell’audacia della bestia,

     “Cospetto!„ esclamano,
"Anche gli uccelli
In questo secolo
Sono rubelli?
     È un sacrilegio,
Un malefizio:

Bisogna chiuderlo
Al Sant’Uffizio.
     È bestia eretica,
Indemoniata,
In Coena Domini,
Scomunicata.„

Cessato però questo primo bollore di collera, e riconosciuto che non conviene fulminar la scomunica contro una bestia.