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clxxiv | Prefazione |
1838,1 libbre 450 250. Abituati poi come siamo ad attribuire ai tempi la barbarie de’ governanti, chi crederebbe che, invece, anche in questo caso, Pasquino fu eco e interpetre fedele del sentimento popolare? Eppure, la cosa è attestata da un diarista contemporaneo, e non punto sospetto, Giacinto Gigli: "Il popolo andava curiosamente a veder disfare una tanta opera, e non poteva far di meno di non sentire dispiacere et dolersi che una sì bella antichità, che sola era rimasta intatta dalle offese dei barbari e poteva dirsi opera veramente eterna, fosse ora disfatta.„2
A proposito poi dei lavori che Urbano, soprannominato Papa Gabella, fece fare alla Fontana di Trevi mentre proprio allora aveva messo un balzello sul vino, Pasquino disse:
Urbanus Pastor, post mille gravamina vini,
Romulides pura nunc recreavit aqua.
E quando morì, gli fece questo epitaffio: Orbem bellis, Urbem gabellis implevit. E un altro ancora, allusivo alle api dello stemma barberiniano:
Pauca haec Urbani sint verba incisa sepulcro:
Quam bene pavit Apes, tam male pavit Oves.
Tradotto così da Teodoro Ameyden, scrittore d’Avvisi per Filippo IV:
Questo d’Urban si scriva al monumento:
Ingrassò l’Api e scorticò l’Armento.3
Quando lo stesso Urbano, con breve del 30 gennaio 1642, proibì, sotto pena di scomunica latae sententiae, di