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cxxxviii | Prefazione |
sportato al letto degl’infermi in una modesta vettura da nolo, la superba carrozza di gran gala del Papa, fatta sotto Leone XII, e costata, co’ finimenti, la bagattella di ventiseimila scudi.1 Con questa misura molto ammirata e lodata,2 il Governo repubblicano salvava la carrozza dal pericolo di finire in un falò come quelle di alcuni cardinali, e dava insieme una lezione al Santo Padre.
Finchè dunque durò la Repubblica, il Bambino scarrozzò per Roma da gran sovrano; ma entrati i Francesi col proposito di rimetter le cose come erano al 16 novembre 1848, la carrozza gli fu ritolta. E poichè, codesta data del 16 novembre, già infaustamente celebre per l’assedio della moltitudine al Quirinale e per le titubanze e la debolezza di Pio IX e de’ suoi consiglieri, era ogni momento su tutte le bocche3 come formula di quella restaurazione, che secondo la lettera del Bonaparte al Ney doveva essere intera, ma da cui invece i preti, a marcio e meritato dispetto dei loro salvatori, scartarono tutte le franchigie costituzionali e ogni vestigio di libertà; un giorno che per Piazza Colonna passava il povero Bambino nell’antica vettura da nolo, un popolano, additandolo a un suo camerata che gli era alquanto discosto, gridò sarcasticamente: “Ohé, lui puro è aritornato ar sedisci novembre!„
Ma Pio IX non si servì più di quella carrozza fino al 27 maggio del 1861.4
Questa accadde, così mi assicurano, nientemeno che a Giuseppe Verdi, una delle volte che, sotto il Governo pontificio, si trovò a Roma. Egli aspettava una lettera di premura, e perciò, qualche minuto prima delle nove