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cxxxvi | Prefazione |
E infatti a Roma si nasce, per dir così, con l’epigramma sulle labbra. Il trasteverino non sa leggere, ma sa farvi una satira. E solo chi conosce il popolo di Roma, può avere un giusto concetto di quel garbo tutto romanesco, che è passato in proverbio. Forse anche gli avanzi e la memoria dell’antica grandezza contribuiscono a render atte le menti a scoprire il lato piccolo e risibile delle persone e delle cose, e questa attitudine si fa maggiore con l’esempio e con l’educazione di famiglia; forse anche il clima ci ha la sua parte; ma, insomma, ogni romano è stoffa adatta per tagliarci un poeta satirico. E non mancano prove per dimostrarlo.„
Però, siccome l’acqua va al mare, non solo tra le pasquinate più o meno propriamente dette, ma anche tra i semplici motti arguti che si attribuiscono a’ Romani, ce n’è molti d’intrusi. Eccone dunque alcuni, che son forse tutti veramente genuini, e la maggior parte anche inediti.
Quando ancora, sotto il Governo papale, le buche per le lettere non erano in tutta Roma più di tre o quattro, un giorno, sull’ora della levata, mentre molte persone si accalcavano davanti a una di esse, un vecchio, imbucando la sua lettera, volle seguirla con l’occhio, per accertarsi che fosse andata giù bene; e allora un piccolo ragazzino che gli stava dietro, e che aveva anche lui una lettera da impostare, impazientito del ritardo, alzò il capo ed esclamò seriamente: “Ah sor bòccio (vecchio)! aspettate gnente la risposta?„
Mentre io stesso, da giovinetto, dimoravo in Roma, una volta m’imbattei in due miei coetanei, che facevano a pugni. La lotta durò un pezzetto indecisa; ma alla fine uno de’ due fu messo sotto dall’altro, il quale, profittando del sopravvento, gli dava giù senza misericordia. Allora io corsi in aiuto del vinto, e, fugato il vincitore, già godevo la compiacenza d’aver fatto un’opera