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giovanni boccaccio. | 55 |
gli suoi coinmendando; gli venne nell’animo uno alto pensiero, per lo quale a un’ora, cioè in una medesima opera, propose, mostrando la sua sufficienza, di mordere con gravissime pene i viziosi, e con altissimi premii i valorosi onorare, e a sé perpetua gloria apparecchiare. E perciò che, come già è mosti*ato, egh aveva a ogni studio preposta la poesia, poetica opera estimò di comporre; e avendo molto davanti preuieditato quello che far dovesse, nel suo tpentacinquesimo anno si cominciò a dare al mandare ad effetto ciò che davanti premeditato aveva; cioè a volere secondo i meriti e mordere e premiare, secondo la sua diversità, la vita degli uomini: la quale, perciò che conobbe essere di tre maniere, cioè viziosa, o da’ vizi partentesi e andante alla virtù, o virtuosa; quella in ti’e libri, dal mordere la viziosa cominciando, e finendo nel premiare la virtuosa, mirabilmente distinse in un volume, il quale tutto intitolò Commedia. Dei quali tre libri egli ciascuno distinse per canti e i canti per ritmi, siccome chiaro si vede; e quello in rima volgare compose con tanta arte, con si mirabile ordine e con si bello, che niuno fu ancora che giustamente quello potesse in alcun atto riprendere. Quanto sottilmente egli in esso poetasse, per tutto, coloro alli quali è tanto ingegno prestato che ’ntendano, il possono vedere. Ma siccome noi veggiamo le gran cose non potersi in brieve tempo comprendere, e per questo conoscer dobbiamo cosi alta, cosi grande, cosi escogitata impresa (come fu tutti gli atti degli uomini e i lor meriti poeticamente volere sotto versi volgari e rimati racchiudere) non essere stato possibile in picciolo spazio avere al suo fine l’ecata, e massime da uomo, il quale da molti e varii casi della fortuna, pieni tutti d’angoscia e d’amaritudine venenati, sia stato agitato, come di sopra mostrato è che fu Dante; perciò dall’ora che di sopra è detto ch’egli a cosi alto lavorio si diede, intino allo stremo della sua vita (come che altre opere, come apparirà, non ostante questa, componesse in questo mezzo) gli fu fatica continua. Né fia di soperchio in parte toccare d’alcuni accidenti intorjio al principio e alla fine di quella avvenuti. § 14. — Di alcuni accidenti avvenuti intorno alla Divina Commedia. Dico che mentre ch’egli era più attento al glorioso lavoro, e già della parte di quello, la quale intitola Inferno, aveva composto sette canti, mirabilmente fingendo, e non mica come gentile, ma come cristianissimo poetando (cosa sotto questo titolo mai avanti non fatta), sopravvenne il gi-al’animo quello laudevole pensiero che a comporre lo indusse la Comedia. E lungamente avendo premeditato quello che in essa volesse descrivere, in fiorentino idioma et in rima la cominciò; ma non avvenne il poterne cosi tosto vedere il fine, come esso per avventura immaginò; perciò che mentre egli era più attento al glorioso lavoro, avendo già di quelle sette canti composti, de’ cento che deliberato avea ili farne, sopravenne il gravoso
accidente della sua cacciata, ovvero fuga, per la quale egli, quella et