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giovanni boccaccio. 33

§ 7. — Rimprovero ai fiorentini. ingrata patria, qual demenza, qual trascuraggine ti teneva, quando tu il tuo carissimo cittadino, il tuo benefattore precipuo, il tuo unico poeta con crudeltà disusata mettesti in fuga; o poscia tenuta t’ha? Se forse per la comune furia di quel tempo mal consigliata ti scusi, che tornata, cessate le ire, la tranquillità dell’animo, e pentutati del fatto, no ’1 rivocasti? Deh non ti rincresca lo stare con meco, che tuo figliuolo sono, alquanto a ragione, e quello che giusta indignazione mi fa dire, come da uomo che tu aniendi disidera e non che tu sia punita, piglierai. Parti egli essere gloriosa di tanti titoli e di tali, che tu quello uno del quale non hai vicina città che di simile si possa esaltare, tu abbi voluto da te cacciare? Deh, dimmi, di quale vittoria, di quali triuntì, di quali eccellenzie, di quali valorosi cittadini se’ tu splendente? Le tue ricchezze, cosa mobile e incerta; le tue bellezze, cosa fragile e caduca; le tue dilicatezze, cosa vituperevole e femminile, ti fanno nota nel falso giudicio de’ popoli, il quale più ad apparenza che ad esistenza sempre riguarda. Deh, gloriera ’ti tu de’ tuoi mercatanti e de’ molti artisti, d’onde tu se’ piena? Scioccamente farai. L’uno fa, continuamente l’avarizia operando, lo mestiere servile; l’arte, la quale un tempo nobilitata fu dagli ingegni, intanto che una seconda natura la feciono, dall’avarizia medesima è oggi corrotta, e niente vale. Gloriera’ti della viltà e ignavia di coloro, li quali, perciò che di molti loro avoli si ricordano, vogliono dentro da te della nobilita ottenere il principato, sempre con ruberie, con tradimenti e con falsità coutra quella operanti? Vana gloria sarà la tua, e da coloro, le cui sentenze hanno fondamento debito e stabile fermezza, schernita. Ahi misera madre, apri gli occhi e guarda con alcuno rimordimento quello che tu facesti; e vergognati almeno, essendo riputata savia come tu se’, d’avere avuto ne’ falli tuoi falsa elezione! Deh, se tu da te non avevi tanto consiglio, perché non imitavi tu gli atti di quelle città, le quali ancora per le loro laudevoli opere sono famose? Atene, la quale fu l’uno degli occhi di Grecia, allora che in quella era la monarchia del mondo, per scienza, per eloquenza e per milizia splendida parimente; Argos, ancora pomposa per li titoli de’ suoi re; Smirne, a noi reverenda in perpetuo per Niccolaio suo pastore; Pilos, notissima per lo vecchio Nestore; Chimi, Chios e Colofon, città splendidissime per adrieto, tutte insieme, qualora più gloriose furono, non si vergognarono né dubitarono di avere agra quistione della origine del divino poeta Omero, affermando ciascuna lui di sé averla tratta; e si ciascuna fece con argomenti forte la sua intenzione, che ancora la questione vive; né è certo d’onde e’ si fosse, perché parimente di cotil cittadina cosi T una come \ altra ancora si gloria. E Mantova, 15. Sogliono gli odii nella morte degli odiati finirsi, il che nel trapassamento di Dante non si trovò adivenire. L’ostinata malivolenzia de’ suoi cittadini nella sua rigidezza stette fei-ma; ninna compassione ne mostrò alSoLERTi

— Yile. 3