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giovanni boccaccio. 29

ne’ liberali studi amuiaesti’ato, soiuinatnetite i valorosi uomini onorava, e massiniaioeute quelli che per iscienza gli altri avanzavano. Alle cui orecchie venuto, Dante fuori d’ogni speranza essere in Romagna (avendo egli lungo tempo avanti per fama conosciuto il suo valore) in tanta disperazione, si dispose di riceverlo e d’onorarlo. Né aspettò di ciò da lui essere richiesto, ma con liberale animo, considerata qual sia a’ valorosi la vergogna del domandare, e con proferte gli si fece davanti, richiedendo di speziai grazia a Dante quello ch’egli sapeva che Dante a lui dovea domandare; cioè che seco gli piacesse di dover essere. Concorrendo adunche i due voleri a uno medesimo fine, e del domandato e del domandatore, e piacendo sommamente a Dante la lit)eralità del nobile cavaliei^e, e d’altra parte il bisogno stringendolo; sanza aspettare più inviti che ’1 primo, se n’andò a Ravenna, dove onorevolmente dal sigaore di quella ricevuto, e con piacevoli conforti risuscitata la caduta speranza, copiosamente le cose oppoi-tune donandogli, in quella seco per più anni il tenne anzi insino all’ ultimo della vita di lui. Non poterono gli amorosi desiri, né le dolenti lagrime, né la sollecitudine casalinga, né la lusinghevole gloria de’ publici uficii, ne il miserabile esilio, né la intollerabile povertà giammai colle loro forze rimuovere il nostro Dante dal principale intento, cioè da’ sacri studi; però che, siccome si vedrà dove appresso parti tameiite delle opere da lui fatte si farà menzione, egli nel mezzo di qualunche fu più fiera delle passioni sopradette, si troverà componendo essersi esercitato. E se obstanti cotanti e cosi fatti avversari, quanti e quali di sopra sono stati mostrati, egli per forza d’ingegegno e di perseveranza riusci chiaro qual noi veggiamo; che si può spe.€ssei-sene venuto in Romagna, conoscendo la vergogna de’ valorosi nel domandare, con liberale animo si fece incontro al suo bisogno, e lui di ciò volonteroso onorevolmente l’icevette, e tenne infino all’ultimo di di lui. Assai credo che manifesto sia da ((uanti e quali accidenti contrarij agli studij fosse infestato il nostro Poeta, il quale ne gli amorosi desiri, né le dolenti lagrime, né gli stimoli della moglie, ne la sollecitudine casalinga, né la lusinghevole gloria de’ pubblici ufi(;ij, ne il sùbito et impetuoso mutamento della fortuna, né le faticose circuizioni, né il lungo e misero esilio, né la intollerabile povertà, tutte imbolatric; di tempo agli studianti, non poterono con le foi’ze vincere, né dal principale intento rimuovere, cioè da’ sacri studij della filosofia, si come assai chiaramente dimostrano l’opei-e che da lui composte leggi nno. Che diranno qui coloro, agli studij dei (juali non bastando della lor casa, cercano le solitudini delle selve? Che coloro, a’ quali è riposo continuo, et a’ quali l’ampie facultà senza alcun loro pensiero -ogni cosa opportuna ministrano? Che coloro che, soluti da moglie e da figliuoli, liberi possono vacare a’ loro piacei-i? de’ quali assai sono che, se -ad agio non sedessino, o adissero uno mormorio, non potrebbono, non che meditare, ma leggere, ne scrivere, se non fosse il gomito riposato. Certo

iiiuna altra cosa potranno dire, se non che il nostro Poeta, e per gli im-