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Ah, ma quando si scalda come dà dentro! Dà dentro come una bestia infoiata. Piomba, piccola e chiara, senza respiro, e han! come un tuono che scoppi, è incassata nella carne dell’albero. Tutta l’aria attorno ne vibra, e i fringuelli rompono la nota. Si disficca a stratte per assaporar bene la ferita, si libra a dritta ala per un istante, immobile, e han! è dentro all’ossa. La quercia sussulta drittamente, senza piegarsi, e accarezza con le frondi basse i quercioletti giovani, attorno, per non impaurirli, come se solo il dolce vento del mare la movesse. La grande quercia è silenziosa come una madre che muore.

Ma la scure canta. La scure s’alza, s’abbassa e canta. Ride rutilante, rossa. È come pazza. Io n’ho paura. Non vedo che questo lampo davanti che fischia e scroscia. Han! han! Non sento più le mani. Il lampo mi sbatte contro l’albero, e mi ribatte via! Han! Piccola mano d’acciaio, distruggiamo la foresta!

Perchè dunque ci estrassero dalla terra? Dormivamo quieti nel tepore umido delle radici. Più fondi ancora eravamo: eravamo il buio cuore duro della terra. Venne giù un’ondata di luce, ci squarciarono, ci portarono al sole.

Ebbene: ora viviamo. Ora vogliamo sole sulla terra. Grande sole di deserto. Sole che spacchi le fronti. Distruggiamo la foresta! I colpi cantano senza respiro, fra il ronzar dello scheggiume. Ah com’è buono arrivare al cuore della vecchia quercia! II colpo s’insorda. Via! — Un crollo: rintronan gli echi lontani.

Ora gli squartatori e squadratori hanno lavoro per una settimana.