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alla fessura della porta e la mamma entrasse: — Non dormi? È tardi. Dormi, dormi. Ti racconto una storia.
Avevo pietà e tenerezza per me stesso. E mi raccontavo a voce alta una storia del carso: — Molti anni prima di noi una donna del carso con capelli biondi, aveva partorito un piccolo che tremava anche sotto la pelle d’orso. Allora lei poichè il suo fiato non bastava, accese il fuoco per la prima volta. Il piccolo crebbe e non andava a caccia. Mangiava carne cotta e le notti d’inverno quando si svegliava d’improvviso e non vedeva la fiamma, l’oscurità e il freddo entravano in lui, ed egli pensava strane cose, rabbrividendo. Dalla volta della grotta stillavano gocce, più lente del battere del suo sangue, e come cadevano sullo strame del giaciglio egli sentiva camminare fuori della grotta. Ma molto lontano; chissà dove, chi era?
Pascolava le capre; si ficcava dentro un cespuglio e guardava il cielo tra le frasche. Un cervo passava annusando, un uccello fischiettava, e quei suoni entravano in lui e si intricavano. Poi dormiva un poco. Poi tornava al calar del sole, e raccontava con parole chiare come le foglie dopo la piova. La sua famiglia l’ascoltava.
Un giorno mentr’egli raccontava vennero uomini, il torso come macigno spaccato dal ghiaccio; ammazzarono la famiglia, rubarono il fuoco, e condussero lui in servitù.
Anche altre storie mi raccontai. Ma poi fui stanco, e non potevo dormire. La mia testa erano tanti pensieri rotti che nascevano e svolavano via da tutte le parti, portandomi in mille posti contemporaneamente. Sudavo. Allora m’alzai, mi vestii in furia, intascai il mio coltello a serramanico, e andai. In via Chiadino c’era ancora una coppia d’amanti, e