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l’elleboro nero è fiorito. Forse i miei occhi troveranno tra le foglie brune e il musco la prima primola, accanto alla macchia di neve.

Allenta il passo: l’animo si può ingrassare rapinando la natura. Tutto è fiorito d’immagini intorno a te. Stendi la mano!: non i getti del rovo tu tocchi, nè il cespuglio tenace delle ginestre, nè i sassi della terra: accarezzi e ti pungi del tuo spirito che è svolato via da te a crearti il tuo mondo. S’è abbattuto contro l’oscuro amorfo, e ha piantato di colpo le sue radici entro di lui; onde il vento lo agita, rami invernali gonfi come pugno che più s’ingrossa come più si sforza in sè stesso; e i tuoi scarponi marchiano il terreno umido di linfa succhiata su in mille forme dal sole; e il tuo sguardo si spande fraternamente nel cerchio divino dei colli verdineri, sotto il cielo limpido e lieve che par s’elevi — luce — più in su dell’aria. Cammina amorosamente nel tuo regno meraviglioso.

Le case di Saltino. La prima neve nei fossi lungo il binario dentato. Dentro, gambe mie!: è dura e crocchia come ossi fra i molari d’un cane. C’è degli alberi carichi di gemme incuffiate di peluria argentea, come strani fiori. Da una stalla aperta mugghia il muso d’una vacca, e si lecca dentro le larghe froge. R. R. Telefoni: 50 centesimi e sono a Firenze. Eppure cammino urlando sulla neve, e non c’è nessuno che si fermi a guardare il pazzo. Tutt’è bello. Capisco la riforma della scuola media e il cipresso stronco sotto il peso della neve, che giace infissato nella neve attraverso la strada e m’obbliga a un salto allegro, fermati sul petto i lembi della mantella. Ed è buono il salame, il burro, il tè, il pane casalingo d’una settimana dell’osteria di Vallombrosa.