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cioccolata in tasca: e mentre pesto forte il lastricato della città perchè dai piedi il sangue mi scorra più caldo alla testa, penso: — Che ha da fare con la vita dello spirito cotesta improvvisa scampagnata? C’era un ostacolo in te, un poco più alto del Secchieta: e tu invece di pigliarlo di petto e darci dentro col cranio, gli giri attorno credendo di andare così verso il sole che illuminerà a tuo uso e consumo tutte le cose. Sei già stanco? e ieri ancora sbalzavi oltre i vigneti e giù dai muriccioli scontorti e assodati dall’edera che t’intralciava i piedi, e pumpf! col muso per terra, cervo vinto che i tuoi coetanei cacciatori sbraitando l’alalà di vittoria legavan con venchi per le zampe e trascinavano a casa — il viso rosso dalla scalmana e dal trionfo. Buttavi giù litri d’acqua, immersa bocca e naso e occhi nella secchia del pozzo, sbuffando e ingorgogliandoti, senza tregua: sicché l’alenare delle narici scavava due fondi buchi nell’acqua. Stanco?
Qui nel treno che mi porta a Sant’Ellero c’è contadini che appena montati dormicchiano rovesciando la testa sullo schienale di legno. Io cammino su e giù per la corsia centrale del vagone. Stanco? Non so più niente, ora. Non sono più in città. Non ho più obbligo di dimostrarmi perchè faccio questa e quella cosa. Sono una bestia irrazionale. Scampagnata, gita, fuga, pazzia, leggerezza, sciocchezza: non so; so che vado sul Secchieta dove c’è la neve. Scendo dal treno, e respiro.
Su per gl’intrigati viottoli de’ carbonai, che qui là si allargano in uno spiazzo nero. Dove vado? La collina nasconde Vallombrosa. Bene, se non mi sperdo; se mi sperdo, meglio. Tocco vecchi castagnoni senza midollo nè carne;