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capo ufficio come si sedeva sulla sedia e teneva la penna. Uno poteva imparare come si fabbrica lo schizzetto triplice per dipingere di biancorossoverde la k. k. polizia; e poteva anche essere informato che Franzca del 41 era passata, per cause ignote, nel casino in via del Solitario. Un giovanottino con un neo-tre peli lunghi raccontava della campagna a Domokos e della strippata data a Roma per l’anniversario dello Statuto. Perchè la patria era mescolata al risotto alla milanese e all’ipermanganato di potassa al 3%. La patria era per loro come quando i giornali pubblicarono il telegramma della morte di Carducci, e un po’ più in su, un po’ più in sotto, dicevano della neve in Carinzia e dell’ambasciatore francese in viaggio.

Io mi meravigliavo. Io sentivo la patria, esclusiva e sacra. Mi tremava il petto leggendo di Oberdank. Avrei voluto morire come lui.

E seguivo sulla carta geografica le campagne di Garibaldi, commovendomi degli eroi. Garibaldi mi fu un venerato amico e dio. Ancora oggi quando sento parlare storicamente di lui, il cuore mi balza in rivolta. Io sono ancora un bimbo che vorrebbe combattere sotto i suoi occhi.

Ma noi nascemmo in altra generazione. Noi cantammo per le strade:

All’armi, all’armi! Ondeggiano
le insegne giallo e nere.
Fuoco, per dio! sul barbaro,
su le tedesche schiere;