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dandomi un brivido, tanto che il gendarme pensò: Der Kerl hat Furcht. Ma forse non pensò niente, e continuava a camminare del suo passo. Ricordo benissimo che un giovanotto passando estrasse la destra inguantata per arricciarsi il mostacchio destro, poi tirò fuori la sinistra per arricciarsi il mostacchio sinistro. Io avevo voltato la testa per vederlo, si che, il gendarme procedendo, mi sentii tirare avanti. Una donna, con un bel boa, torse gli occhi, ma vidi che rideva. Perchè mi lascio condurre da questo imbecille?

Ha le spalline grosse, giallonere. Perchè non lasciarmi condurre da lui? Si va dove non so, ma non è necessario ch’io sappia. Mi conduce lui, svolta, scantona, e i miei piedi si pongono sempre paralleli ai suoi. La baionetta scintilla molto lucida. È carico il tuo schioppo?

Perchè non mi risponde? E un garzone di beccaio, invece di far due passi di più, salta oltre la panca di passeggio, e il grembiule macchiato di sangue vecchio si gonfia e sbatte svolazzando. Appena siamo passati ci guarda e urla: — Dèghe al giandarmo! — Scappa.

Io vedo bene pulsare l’arteria nel collo di questo imbecille. E le mie mani sono molto lunghe, e sono come ossa ai polpastrelli. E non c’è gente. Alboino.... Ma io sono più che Alboino. Io sono più che Bismarck. Io stringo insensibilmente il pollice dentro le altre dita e faccio della mano una più sottile prolungazione del polso. Lentamente scivolo fra le sue dita rallentate per il freddo. Intanto parlo: — Triste vita la loro! Chè! capisco bene che lei fa il suo dovere. Quante ore di servizio hanno?: otto? consecutive? e lassù in carso, con tutti i tempi, di notte. — Nella gola mi cantano alcune parole fresche che la mia