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Il monte Kâl è una pietraia. Ma io sto bene su lui. Il mio cappotto aderisce sui sassi come carne su bragia; e se premo, egli non cede: si le mie mani s’incavano contro i suoi spigoli che vogliono congiungersi con le mie ossa. Io sono come te freddo e nudo, fratello. Sono solo e infecondo.

Fratello, su di te passa il sole e il polline, ma tu non fiorisci. E il ghiaccio ti spacca in solchi dritti la pelle, e non sanguini; e non esprimi una pianta per trattenere le nuvole primaverili che sfiorandoti passano oltre e vanno laggiù. Ma l’aria ti abbraccia e ti gravita come grossa coperta su maschio che aspetti invano l’amante.

Immobile. La bora aguzza di schegge mi frusta e mi strappa le orecchie. Ho i capelli come aghi di ginepro, e gli occhi sanguinosi e la bocca arida si spalancano in una risata. Bella è la bora. È il tuo respiro, fratello gigante. Dilati rabbioso il tuo fiato nello spazio e i tronchi si squarciano dalla terra e il mare, gonfiato dalle profondità, si rovescia mostruoso contro il cielo. Scricchia e turbina la città quando tu disfreni la tua rauca anima. Fratello, con la tua grande anima io voglio scendere laggiù.

Perdonami, s’io balzo su come tu non puoi e t’abbandono. È come se d’improvviso una fonte t’infertilisse sgorgandoti dentro il cuore. Gorgoglia e fiotta la nostalgia irrequieta. Ho desiderio d’andare, fratello. Ho desiderio di possedere grandi campi di frumento e prati ombrosi. La