Pagina:Slataper - Il mio carso, 1912.djvu/35


— 36 —


Qualche volta mi fermavo nel bosco e alzavo il capo verso gli alberi alti e allineati. Udivo sgricciar una foglia, cader una coccola, un pigolio. Poi tutto era silenzio. Io non mi movevo.

Avevo voglia di buttarmi su uno di quei tronchi, stringerlo fra le braccia, stare con lui. Ma avevo paura di far strepito.

Cercavo lentamente con gli occhi una farfalla, un insetto. Niente si moveva. Qualche cosa era nascosta nel fogliame, mi guardava, e io non la vedevo.

Nel bosco rimparai a pregare. Dicevo: — Dio voglimi bene; Dio voglimi bene. — Una volta mi buttai per terra e piansi a lungo.




Salto e sbalzo verso il lembo aperto di cielo. Sotto il sole lampeggia e rutila in fondo il dolce ricordo. Dove vado? Lontana è la patria, e il nido disfatto. Ma il vento trascorre con me, desiderando, oltre il margine roccioso del carso, e sono sopra il mare, la larga strada del vento e del sole.

Io sono nato nella grande pianura dove il vento corre tra l’alte erbe inumidendosi le labbra come un giovane cerbiatto, e io l’inseguivo a mani tese, ed emergevo col caldo viso nel cielo. Lontana è la patria; ma il mare luccica di sole, e infinito è il mondo di là del mare.