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l’uomo si ferma perchè il respiro è pieno d’un veleno e d’un calore così dolci e forti ch’egli deve sdraiarsi nel sole e dormire. Chiude gli occhi, e le palpebre gli fiammeggiano come cielo infocato, e da tutte le parti s’alzano vampate immense barcollanti d’albero in albero. L’aria trema inquieta nell’arsura.

Ma m’alzai furioso e corsi in campagna gridando come un falco ch’abbia lasciato per la prima volta il suo nido.




La sua camera aveva un intonaco a stampi rossocinerini, mattoni slabbrati per pavimento, un pianoforte coperto da un canovaccio crocettato, un letto, un armadio con su boccette medicinali e una civetta impagliata. Una lastra della finestra era di latta rugginosa, con un foro per il tubo della stufa. Siccome il foro s’era slargato, d’inverno quando mettevano la stufa, Vila incassava con le punte delle forbici un po’ di stracci intorno al tubo. E fumigavano.

Non era bella la casa dove stava Vila! Io entravo come un ladro inesperto, ripiegato in tasca il mio frustino da cani, il mio bel frustino che schioccava con un colpo secco come d’acciaio, camminando lesto in punta di piedi, trattenendo il respiro. L’aria odorava di muffa, di polvere, di vino. Qualche volta la porta dell’ultima camera in fondo, vicina a quella di Vila, era aperta, e Vila la chiudeva subito. Era un disordine tanfoso di stracci, bottiglie, cassette, con le pareti scrostate dall’umido, e ci dormiva la vecia,