Pagina:Slataper - Il mio carso, 1912.djvu/18


— 19 —

ziose erano le larghe camere matrimoniali sostenute da travoni squadrati.

Era l’ora del caldo e del riposo. La terra s’ampliava nella distesa del sole. Il cielo era chiuso e grave. Neanche una vela sul mare. Tacevano le vespe e i bombi. Un frutto tonfava giù dal ramo. Era il grande silenzio infocato, quando gli occhi dei colombi stanno chiusi sotto l’ala e il bue rumina accosciato corpulento sulla paglia fresca.

Ma solo i bimbi in quell’ora si buttano nei prati come un ciapo di storni autunnali e saccheggiano le ficaie, stroncando i rami aridi, perchè anche il padrone dorme, il signor Vatta dagli occhietti di gobbo. E poi si raccolgono, a tasche piene, nella veranda ombrosa e Scipio conta una bella, strana, lunga storia.

È una storia che continua ogni giorno e non finisce più. Nella piccola capanna del bosco è nato un eroe, forte come cento leoni e furbo come cento volpi. Le sue avventure fanno sgranare gli occhi di stupore, ridere di allegria chi ascolta. È un ragazzo bello, sereno, buono. È quello che tutti desiderano d’essere.

E dopo due, tre ore zia Ciuta chiamava ch’era lettera per me, e mi portava contenta la lettera di mamma. Cara mamma mia. Tu allora preparavi, nel grande caldo d’agosto, le casse per il trasloco. Bisognava andar via dalla casa dov’erano nati i tuoi figli. Sì, mi ricordo che prima di partire avevo visto che rompevano i muri e i viali del giardino per i tubi dell’acqua, del gas; e lavoravano muratori, meccanici, falegnami, vetrai, tappezzieri, terrazzieri. Mi divertivo vederli lavorare. Ma noi s’andava via perchè