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tana è la patria e il nido disfatto. Ma commossi d’amore torneremo alla patria nostra Trieste, e di qui cominceremo.
Noi vogliamo bene a Trieste per l’anima in tormento che ci ha data. Essa ci strappa dai nostri piccoli dolori, e ci fa suoi, e ci fa fratelli di tutte le patrie combattute.
Essa ci ha tirato su per la lotta e il dovere. E se da queste piante d’Africa e Asia che le sue merci seminano fra i magazzini, se dalla sua Borsa dove il telegrafo di Turchia e Portorico batte calmo la nuova base di ricchezza, se dal suo sforzo di vita, dalla sua anima crucciata e rotta s’afferma nel mondo una nuova volontà, Trieste è benedetta d’averci fatto vivere senza pace nè gloria. Noi ti vogliamo bene e ti benediciamo, perchè siamo contenti di magari morire nel tuo fuoco.
Noi andremo nel mondo soffrendo con te. Perchè noi amiamo la vita nuova che ci aspetta. Essa è forte e dolorosa.
Dobbiamo patire e tacere. Dobbiamo essere nella solitudine in città straniera, quando s’invidia il carrettiere bestemmiante nella lingua compresa da tutti attorno, e andando sconsolati di sera fra visi sconosciuti che non si sognano della nostra esistenza, s’alza lo sguardo oltre le case impenetrabili, tremando di pianto e di gloria. Noi dobbiamo spasimare sotto la nostra piccola possibilità umana, incapaci di chetare il singhiozzo d’una sorella e di rimettere in via il compagno che s’è buttato in disparte e chiede: — Perchè?
Ah, fratelli come sarebbe bello poter esser sicuri e superbi, e godere della propria intelligenza, saccheggiare i