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delle piccole punture. Poi la si addenta. Le gengive bruciano, i denti si stringono l’uno addosso dell’altro, si fanno scabri e ruvidi come pietre, e tutta la bocca diventa una ricca acqua.

Ma quando viene l’estate per arrivare i pochi frutti rimasti bisogna essere ghiri. Andare dove gli uccelli non hanno paura, perchè non sono abituati a trovarvi anche lassù. Alla biforcazione delle due frasche più alte mi tenevo agganciato con un piede e bilanciandomi con la destra distesa procedevo a modo di bruco con la sinistra sulla fraschetta svettante, trattenendo il respiro: finchè arrivavo al punto dove essa si piegava e a poco a poco s’avvicinava fino alla mia bocca. Qualche volta dovevo lasciarla riscattar via perchè la nonna sgridava: — Fioi, ve ’mazarè su quei alberi! — Allora stavo zitto, rosso, e scivolavo giù fluendo.

E c’era anche, accosto al muro della strada, un tasso baccata che scortecciavo facilmente a larghi brani per vederlo più pulito e più rossiccio. Aveva, al terzo piano, due rami come un letto, e lì dormivo qualche dopopranzo; oppure contemplavo tronificante la mularia stradaiola che faceva a ruffa di sotto per agguantare le bacche rosse che buttavo giù da signore, (Io non le mangiavo, mi schifavano).

Poi imbaldanzita cominciava a fiondar sassi, e io allora, saltato giù come un demonio, correvo al portone, ne strappavo la verghetta di ferro che serviva da chiavistello, e giù a rotta di collo per le strade, fino quasi al centro della città, con una maglietta e calzoncini a righette bianche e blu, lunghi riccioli biondi, urlando: — daghe! daghe! — E alla sera m’addormentavo disteso sul letto mentre ancora