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Ho strappato tutte le peonie di Lipizza, piena la mantella, e le ho versate sulla sua tomba. — Mamma, di’ che non facciano strepito, vado a dormire. Arrivederci, mucci, addio. Per la strada venivano tutti gli asinelli carichi di latte. Erri! erri! Quasi montavo su uno perchè ero stanco. Che effetto fa, tornar di lassù e per le scale — puzza d’olio bruciato, non so che odore. Ma chi sta in questo casamento enorme? No, no, grazie, non ho fame. A rivederci.
Ora ha vinto la pioggia. Un respiro caldo di vento fa tremare i fogli sparsi sul tavolo, un respiro umido, di malato.
Dalle stanche nuvole s’infiltra la pioggia, giù per l’aria. Tutto s’ingrigia in un languore d’affanno e la gente cammina senza meta nelle silenziose strade lunghe.
Torniamo alla vita così, rassegnati e muti, perchè forse è meglio, e il dolore e la gioia sono vani.
Finiti gli studi, tornerò a Trieste e farò il professore. Io non ho molti bisogni, vivo con poco, e il più sarà per le sorelle. Alle domeniche andrò dagli amici e passeremo un po’ di tempo insieme, seduti vicini, chiacchierando affettuosamente.