Pagina:Slataper - Il mio carso, 1912.djvu/103


— 104 —

ferto per lei. Si, perchè aveva degli amici, e quando essi erano lontani a lei pareva di non essere neanche viva. Ha parlato con migliaia di persone. Ogni suo atto e ogni sua parola è allacciata con i nostri atti e le nostre parole, e forma una cosa unica, non sua, non nostra, di tutti noi, di tutti. Niente interviene. Un piccolo niente, un atto di volontà: un attimo: quella persona non è più eternamente con noi. — Com’è possibile che uno può morire mentre gli altri continuino a vivere? Io non domando com’uno può morire, io domando come gli altri continuano a vivere. Egli è morto, egli solo. Gli altri alla mattina dopo vedono levarsi il sole. Si stampa il suo nome sul giornale. I treni corrono. Potete già leggere il suo nome nell’avviso mortuario del giornale comperato in una stazione intermedia. Io non patisco. Anche questa signora qui di faccia legge il suo nome sullo stesso giornale che ho in mano io. Trentamila copie. Io vado a vederla morta. Ma questo non fa niente; ma io domando: se egli solo, egli addolorato da noi, egli amato da noi, egli solo è potuto morire, continuando la nostra vita — dunque l’odio, l’amore, la comprensione?

Nessuno può penetrare dentro una persona e amarla così perfettamente ch’essa sia legata a noi come corpo nel corpo. Uno può morire poiché nessuno lo può comprendere; dentro ogni individuo c’è un segreto tutto suo che l’amante e il maestro non toccano. E l’individuo è per l’eternità staccato dagli altri individui ed egli aspira a esser tutto, dalla punta delle dita alla sua fede, tutto un segreto invisibile, senza che gli altri lo possano cercare, muto e solo; egli aspira alla sua pace d’individuo, dove la sua forma non sia turbata dall’altre; esser tutto suo. Ed egli patisce finché non