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— Vattene, Gavina, — disse la madre.
Gavina uscì, ma rimase dietro l’uscio. Le due donne costrinsero Luca a rimettersi a letto, ed egli cominciò a raccontare, con accento di sincerità straziante, che Gavina era penetrata nella camera, mentre egli dormiva, e aveva tentato di ferirlo con un coltello.
— Vi dico, è là sotto! Cercatelo, ma cercatelo! — ripetè, adirandosi. — Altrimenti ella tenterà ancora di uccidermi.... Non lasciatemi solo, no, no, non lasciatemi, non abbandonatemi...
Dietro l’uscio Gavina piangeva. Tentò ancora di entrare e di rassicurarlo; ma appena la vide, egli fu riassalito da una convulsione di terrore, e afferrò la mano di sua madre come un bimbo pauroso.
— Vuoi che chiamiamo il medico? — domandò la signora Zoseppa.
— Io non sono malato, mamma! Adesso ci manca solo questo: di dire che sono malato! No.... no.... voi volete avvelenarmi per salvare lei....
Allora Paska ebbe un’idea felice: andò a chiamare Francesco Fais.
Gavina si torceva le mani convulsa; andò alla finestra verso l’orto e si mise a singhiozzare, pensando a ciò che avrebbe detto Francesco, nel sentire l’accusa di Luca, per quanto formulata da un pazzo. Fuori la notte era dolce, lunare, così chiara che si scorgevano le