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sempre di questo ricordo: io sono sempre lo stesso, come quel giorno nella vigna.... Se tu non vuoi esser mia, non devi esserlo di nessun altro. Questo il giuramento che tu manterrai; il giuramento che io adesso ti richiamo alla memoria, perchè tu l’hai dimenticato».

Gavina comprese; egli esigeva da lei lo stesso sacrifizio sterile che gli altri pretendevano da lui: divisi per sempre, ma uniti dalla stessa condanna. E poiché Priamo non pretendeva altro, ella non si turbò: ma ogni giorno, verso il crepuscolo, aspettava alla finestra il passaggio del postino. Erano lunghe ore di attesa inutile, di vaga melanconia. La strada, deserta sotto il cielo d’un lilla cinereo dorato all’occidente, pareva la strada d’una piccola città morta; e il postino non passava, o passava senza fermarsi, col suo passo galoppante e la sua borsa stridente. Un attimo, un palpito di vita, poi di nuovo il sonno dei morti. Gavina andava alla finestra dell’orto, e recitava un’infinità di quelle «requiem aeternam» che ormai le sue labbra pronunziavano come per un moto naturale. Anche di là il paesaggio si tingeva di tinte violacee e cineree, ed i monti sembravano addormentati, e lo stridìo dei grilli pareva il lamento della vegetazione malata, corrosa dai bruchi e dalla polvere.

Gavina guardava la muraglia violacea dei monti, e qualche volta, pur recitando le preghiere dei morti, pensava al mondo dei vivi che era