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a scuoterla dal sopore in cui viveva; erano colpi forti, quasi furiosi, che echeggiavano per tutta la casa e parevano battuti da un gigante di passaggio per la strada solitaria. Egli veniva di lontano e portava nella sua borsa le notizie del mondo dei vivi e batteva alle porte dei dormenti: Gavina correva ad aprire e riceveva piccoli giornali letterari con poesie di Francesco Fais, e cartoline illustrate, con paesaggi romani, segnate da un «p» minuscolo, quasi sempre nascosto fra i ruderi e i cespugli. Nel guardarle ella si spaventava come se quella semplice consonante fosse un nemico in agguato.
Meno delle cartoline la turbavano le poesie di Francesco Fais: una volta egli le mandò anche un giornaletto che parlava di lui entusiasticamente. «Quasi mai questo giovane poeta canta di sè, diceva il critico, eppure si sente nei suoi versi tutta la sua personalità forte e generosa. Egli veda tutto bello: egli è un poeta innamorato della vita; tutto per lui è fonte di gioia e di ammirazione. Nato nel dolore, non conosce il dolore. Pare che egli senta che nulla mai ostacolerà il suo cammino verso la felicità; egli sarà un trionfatore, ecc., ecc.».
Anche Michela e il canonico Sulis lessero l’articolo ed una sera in casa di Gavina se ne discusse animatamente. Il canonico Sulis sbuffava e domandava, agitando il giornale: