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— Non è poi un mestiere disonorante! — rispose Francesco. — La pirotecnia è un’arte difficile e quasi poetica. Si direbbe l’arte di fabbricare.... le stelle!

— E allora vada a fare il pirotecnico, lei!

— E perché no? Se fossi ricco lo farei; anzi vorrei essere io stesso un razzo! — egli rimbeccò, guardandola negli occhi. — Sembrare una stella.... almeno per un momento!

— Ma perchè? — domandò Michela

— Per esser guardato!...

— Almeno por un momento.... — aggiunse Gavina.

Ed egli ripetè!

— Sì, sì, almeno per un momento!

L’indomani Gavina ricevette per la posta una cartolina su cui, con bella calligrafia, erano scritti alcuni versi intitolati «Il razzo». Il poeta anonimo ripeteva le stesse cose dette da Francesco Fais la notte prima; ella però non si commosse.

Luca intanto, chiuso nella casetta della vigna, continuava a lavorare, e i pastorelli sperduti nelle brughiere intorno aspettavano con ansia la sera por godersi l’insolito spettacolo dei razzi che egli accendeva e che attraversavano il cielo glauco simili a comete e a meteore luminose.

Ma due giorni prima della festa un grosso razzo gli scoppiò fra le mani: egli cadde svenuto, col viso ustionato, e in seguito dovette