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più intenso; allora cadde in ginocchio sbigottita e la solita preghiera le salì alle labbra:
— Dio mio, perdono: Dio mio, fatemi soffrire! Così, così, fatemi soffrire!
E decise di conservar la lettera, di tenerla sul petto come un cilizio, per tormentarsi col desiderio di leggerla e vincere questo suo desiderio.
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Veniva l’autunno, e la vita in casa Sulis diventava triste come la stagione. Finchè il sole di ottobre battè sull’orto, il suo riflesso illuminò le stanze melanconiche; poi tutto fu ombra, desolazione. Il giorno dei morti la vedova e Paska, che parlavano continuamente del caro scomparso, piansero come se egli fosse morto poche ore prima; eppure fu proprio in quel giorno che Gavina sorprese di nuovo Luca in agguato presso il guardaroba. Egli, che in tutto quel tempo non aveva più bevuto, quasi avesse ancora paura di suo padre, ricadeva nel suo vizio; e Gavina, pensando che non era il caso di ricorrere a sua madre, gli si avvicinò e lo guardò con occhi selvaggi.
— Vergognati! Via, via di qui; va via subito o la farai con me. Proprio oggi vuoi ubriacarti? Così onori la memoria di nostro padre? Ti farò cacciar via di casa....
— Tu, asina? È tua questa casa?