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— Voi partite? Buon viaggio, — ella rispose, e non sorrise, non lo guardò. Egli se ne andò, con la sua bisaccia sulla spalla come un pellegrino.
Un momento dopo, mentre andava a prendere l’acqua dal pozzo ella vide per terra una lettera chiusa, senza dubbio smarrita da zio Sorighe. Si curvò, prese la lettera e impallidì; era diretta a lei; ed ella riconobbe la calligrafia di Priamo. Sulle prime provò un impeto di rabbia contro zio Sorighe, ma ad un tratto la sua collera svanì per dar luogo ad una cupa tristezza. Che fare, che fare? La lettera le bruciava le dita; ella sentiva un acerbo desiderio di aprirla, ma aveva già tanta potenza su sè stessa che non solo vinceva il suo desiderio, ma lo esaminava crudelmente. Bisognava rimandare la lettera; ma come? pensò a Michela, indi respinse con sdegno questo pensiero.
Rimase a lungo pensierosa ed inquieta; la sera cadeva, tiepida e vaporosa e con l’odore delle erbe secche, dei crisantemi umidi, saliva come un vapore di ricordi. Verso quell’ora, tutti i giorni, ella pensava a suo padre morto e pregava per lui; e anche quella sera cominciò la sua interminabile fila di «requiem aeternam» ma si accorse di non pregare con abbastanza raccoglimento. Pensava sempre alla lettera, e ad un tratto si accorse con dolore che il suo desiderio di leggerla diventava sempre