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Con tutto questo, non solo non si ribellava al Dio vendicatore che la castigava in modo così crudele, ma lo adorava col terrore e l’ammirazione primitiva dei selvaggi per tutto ciò che è forza distruggitrice. La morte di suo padre, avvenuta in quella circostanza, fu per l’anima di lei come uno di quegli uragani estivi che purificano l’aria ma devastano i giardini. La piccola anima si fece pura ed arida come una cima alpina. Ella non pensò più a Priamo che per procurarsi la triste voluttà di scacciare questo pensiero; e mentre trasaliva ogni volta che vedeva Michela, per paura che l’amica le portasse una lettera, desiderava di ricevere questa lettera per lacerarla senza leggerla. La solita preghiera — Dio fatemi soffrire — diventò in lei una specie di idea fissa.
Ogni tanto si esaminava se soffriva davvero, e le pareva di non soffrir mai abbastanza. Fu così che si sviluppò in lei, spontaneamente, una forza d’analisi sempre più acuta.
Otto giorni erano passati, dopo la morte del signor Sulis, e ancora la vedova, imbacuccata in uno scialle nero, seduta in un angolo della saletta ove un soffio di morte pareva avesse spento anche la luce, riceveva le barbare visite di condoglianza.
Tutti ripetevano:
— Pazienza! siamo nati per morire!
E la vedova, immobile, pallida, non piangeva, non parlava più, quasi che a forza di