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che attizzava il fuoco sotto la caldaia, e domandò con voce turbata:

— Voi lavate le botti con acqua di foglie di pesco bollite? Da noi invece....

Non terminò la frase, per correre dietro a Gavina che aizzava il daino dirigendosi verso la quercia. Quando fu sullo spiazzo ella si fermò, si volse e le parve che la figura di Priamo campeggiasse sullo sfondo luminoso del paesaggio riempiendo di sè tutta la solitudine e la vastità dell’altipiano.

Ella palpitava di paura, di curiosità e di attesa. Egli la raggiunse, guardò il tronco della quercia e disse, ansando lievemente:

— Come è bello qui! Hai scritto il tuo nome sul tronco? No? Scriviamolo adesso. Si potrebbe scrivere qui.... e anche il mio....

— Dove? — domandò Gavina sollevandosi sulla punta dei piedi e appoggiando una mano al tronco. Priamo mise la sua su quella piccola mano che tremava, e siccome ella s’attaccava al tronco, quasi per sfuggire con quell’abbraccio all’abbraccio di lui, egli ve la staccò subito con forza e la strinse a sè.

— Ora non mi fuggirai più, — le disse con passione selvaggia. — Io vorrei sapere perchè mi sfuggi. Eppure so che mi vuoi bene. Io non voglio tornare in seminario. No, no, no! Piuttosto farò il contadino, il facchino, il pastore. Ma il prete no.... Tu mi vuoi, di’, tu mi vuoi, dimmelo....