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gire gli uomini corrotti e bestiali il cui esempio induce in tentazione!

Partiti i vendemmiatori, zio Sorighe e le sue padrone rimasero di nuovo soli nella vigna. Il vecchio badava ai tini che bollivano come pentole, e canticchiava qualche ottava in onore del vino nuovo. Dal paese giunse l’altro servo e cominciò a trasportare il mosto.

— Ed ora, lasciata la vigna, che farete? — egli domandava a zio Sorighe.

— Volerò come l’uccello per l’aria! Andrò alla festa di San Francesco, poi a quella di San Costantino; morrò cantando!

— Spero vi confesserete, prima! Farete la vostra confessione in ottave?

— E perchè devo confessarmi? Verbigrazia, che ho fatto di male io, nella vita? Ho vissuto, ho goduto. Dio ci ha creati per questo, se non erro! Mangiare, bere, divertirci: tutto il resto è peccato mortale.

La padrona corrugava le sopracciglia, e Gavina considerava zio Sorighe come un pazzo; quando egli la fissava ripetendole la solita canzonetta:


Dami fa manu, bellita, bellita....


invece di porgergli la mano ella scappava. Un giorno, all’antivigilia del loro ritorno in paese, lo vide far cenni di saluto dall’alto della china davanti al cancello, e lo sentì gridare: