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neo; aveva consumato un piccolo patrimonio correndo di festa in festa per prender parte alle gare di canti improvvisati, e adesso doveva adattarsi al più umile dei mestieri, quello di guardiano di vigne: egli però accettava la sua sorte non solo filosoficamente, ma anche burlandosene.

— E se occorre mi diverto ancora! — concluse.

Fu mandato alle vigne che il signor Sulis possedeva sull’altipiano, poco distante dal paese, e dove tutti gli anni la signora Zoseppa si recava per presiedere alla vendemmia. Il luogo era aspro, selvaggio; intorno alle vigne il cui verde ossidato spiccava sul terreno giallognolo, si stendevano macchie, roveti, prati coperti di asfodelo secco; i fichi allignavano lungo i filari delle viti basse stese al suolo, e sopra la casetta della vigna Sulis sorgeva mia quercia che come l’elce nel piccolo orto del paese pareva un’esiliata dei boschi delle circostanti montagne.

Zio Sorighe aveva pulito la casetta, che si componeva di due vaste stanze terrene, una delle quali serviva anche da cucina, e aveva costrutto un muricciuolo sulla china davanti alla quercia, in modo che intorno alla pianta rimaneva un piccolo spiazzo comodo e pulito. Più su ancora aveva costrutto una capannuccia, ov’egli passava la notte.

Quando le sue padrone arrivarono, egli le