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rato il suo amore, aveva anche tentato di baciarla.
— Tu hai permesso questo, tu? — disse Michela con voce sorda. — Tu non dovevi permetterlo. Dovevi gridare.... chiamare lo zio!... Che peccato avete commesso, che peccato, che peccato! Tu devi confessartene.... domani stesso; ti accompagnerò io!
— Sì, sì, ho peccato! — ammise Gavina; e mentre l’altra, nel silenzio della notte soave, continuava a pronunziare parole di sdegno e di gelosia, ella pianse di rimorso e di passione.
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Il canonico Bellìa era un confessore molto ricercato dalle donne. Sebbene severissimo riusciva a convincere ed a confortare le sue penitenti; e si diceva che avesse persuaso una donna di malaffare ad allontanarsi dal paese ed a farsi monaca.
Quando Gavina e Michela si avvicinarono al confessionale, già dieci o dodici penitenti aspettavano ansiose il loro turno, pronte a litigare se qualcuna di loro cercava di precedere le altre.
Gavina dovette aspettare a lungo, estenuata dal digiuno e umiliata dalla vergogna del terribile peccato che doveva confessare. Intanto rifaceva l’esame degli altri peccati,accusan-