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noscere la vedova Fais. E siccome neppur Paska dava molta importanza alle sue chiacchiere, Michela cambiò discorso.

Ella capiva l’ostilità di Paska, e sentiva che anche Gavina, pur cercando la sua compagnia, non l’amava; ma appunto questa freddezza talvolta sprezzante dell’amica aumentava la sua sete d’affetto.

Finchè la serva rimase con loro ella parlò vagamente di sè e raccontò ciò che aveva fatto durante la giornata. S’era alzata all’alba, era stata in chiesa, s’era confessata e comunicata; aveva digiunato a pane ed acqua, come faceva ogni sabato; aveva lavorato e pregato tutto il giorno.

Arrivate alla fontana, che era un po’ al disotto dello stradale, Paska scese, e le due ragazze rimasero appoggiate al paracarri, davanti alla grande vallata grigia e nera alla luna. In fondo, sulle falde azzurrognole delle montagne lontane, ardevano grandi fuochi e pareva scaturissero dalla montagna stessa: i contadini per dissodare i terreni selvaggi incendiavano le macchie e talvolta erano intere brughiere che bruciavano e nelle sere scure il chiarore fantastico di questi fuochi illuminava la valle con un barlume rossastro come di luna al tramonto.

— Senti, Gavina! Devo dirti una cosa! — disse Michela, sottovoce e ansando. — Giura però che mi crederai!